Brano: RITRATTI CRITICI DI CONTEMPORANEI
LALLA ROMANO
1. Ad un tema di argomento dantesco svolto dal figlio, al solito, in modo non ordinario e giudicato dall'insegnante che glielo aveva dato « fuori del consueto » — l'episodio è raccontato ne Le parole tra noi leggère —, Lalla Romano ha apposto questa chiosa: « Comunque sono certa che non solo per furore logico né per desiderio di singolarità interpretò a quel modo il tema, la ragione prima — della quale non poteva essere consapevole allora — era che la sola lettura interessante per lui era quella dal punto di vista dell'autore: il fatto creativo insomma » (Torino 1969, p. 156). La postilla (postilla verba auctoris, ne è il caso) contiene un pensiero altrimenti espresso, in modo ancora piú esplicito e in una sede propriamente critica, nella Presentazione della ristampa di Maria fatta per le scuole (Torino 1973). « Cosa c'[...]
[...]itore: a Lionello Venturi, e al suo libro piú noto Il gusto dei primitivi. Troviamo qui, infatti, nel libro di Venturi, la seguente affermazione: « Se l'opera critica deve avere un senso, esso sarà quello di ragionare sul modo con cui l'artista è giunto all'opera sua. Poiché il modo è l'opera d'arte, il modo, e non il risultato, deve interessare il critico » (Il gusto dei primitivi, Torino, Einaudi, 1972, p. 174). Questo, per una scrittrice come Lalla Romano sempre cosí attenta ai risvolti di poetica, cosí sorvegliata e consapevole, è di un'importanza nient'affatto secondaria, ha il valore anzi di un punto di forza mai smentito.
« La fantasia (come la memoria) astrae dalla realtà quello che le serve »,
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dirà nell'Avvertenza alla ristampa delle Metamorfosi (Torino 1967, p. 11). È un pensiero che ha poco o nulla da spartire con ogni forma di « realismo », previa intesa che non usiamo la parola, secondo invece la proposta del Venturi, come sinonimo di « non imitazione », perché allora finiremmo per cadere in una specie di gioco [...]
[...]a che non usiamo la parola, secondo invece la proposta del Venturi, come sinonimo di « non imitazione », perché allora finiremmo per cadere in una specie di gioco nominale (ad esempio, per Pavese, si è dovuta inventare la formula, che sta come un ossimoro, di « realismo simbolico ») e dovremmo riprendere da capo ogni concetto: cosa, è ovvio, che quand'anche ne fossimo capaci, sarebbe fuori luogo. Qui piuttosto ci interessa dire che la poetica di Lalla Romano non va ascritta, se non in modi estremamente indiretti e condizionali, al grande (ottocentesco) alveo realista e meno ancora può patire l'etichetta, ancor piú angusta, di neorealista. Ne fa fede non tanto l'esordio poetico, che avvenne nel 1941 con la raccolta Fiore pubblicata dall'editore Frassinelli di Torino e che si collocava in un ambito di risonanze elette e preziose — condotte con modulazioni di personale ermetismo —, ma il vero e proprio esordio narrativo che avvenne di contromano con Le metamorfosi (1951), un'antologia di sogni secchi e concreti, che passò, pour cause, sotto silenzio[...]
[...]ione, e pensiamo al felicissimo incipit di Maria, la « servente au grand coeur »: esordi e chiuse sono sempre, nella Romano, vere e proprie chiavi della volta:
Quando entrammo nella nostra casa, c'era già Maria. Eravamo di ritorno dal
viaggio, e camminammo in punta di piedi, perché era mezzanotte.
Io non conoscevo Maria, se non per averla vista, quando era venuta a pre
' Citiamo dalla ristampa einaudiana dei « Nuovi Coralli » (1974), p. 66.
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sentarsi. Affrontare la conoscenza delle persone mi metteva in grande imbarazzo; cosí, da una stanza vicina, avevo spiato, attraverso l'uscio socchiuso.
Stava seduta sull'orlo della sedia, con i piedi incrociati e le mani raccolte nel grembo; era magra e minuta, vestita di nero: con un colletto, rotondo, di pizzo. Teneva la testa reclinata su una spalla; i suoi occhi azzurri e fermi, dalle palpebre piegate all'ingiú, avevano un'aria rassegnata e un po' triste. Non ne avevo concluso niente: piú che altro avevo pensato che era una figura adatta a ritrarsi nei quadri (Maria, Torino 1953, p[...]
[...]pagare le spese d'un ipotetico proselitismo cui nulla — in nessun caso — la portava per naturale riflesso dei suoi caratteri particolari: lontanissimi, in verità, dal suggerire formule a impiego corrente » (p. 6). Era un esplicito invito ad uscire dalle formule di comodo e a individuare nella Romano i tratti di una poetica e di un linguaggio peculiari.
2 Citiamo dal romanzo L'archiamore (Milano, Guanda, 1980) dell'esordiente OSVALDO GUERRIERI.
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Prima della Penombra erano stati pubblicati Tetto murato (1957), L'uomo che parlava solo (1961) e, a parte, il Diario di Grecia (da Rebellato, nel '59). Dopo la Penombra sono poi venuti, trascurando le ristampe, che pure non sono mai senza revisioni, Le parole tra noi leggère (1969), L'ospite (1973), Una giovinezza inventata (1979) e tra L'ospite e Una giovinezza inventata due libri coevi, uno di racconti, La villeggiante, e l'altro di fotografie commentate, Lettura di un'immagine (1975). Senza dimenticare l'esercizio della poesia, che ha dato nel '74 Giovane è il tempo, frutto di una sc[...]
[...]n pausate, quasi periodiche, come esistesse una misura ritmica anche nel licenziare, oltre che nel comporre, i propri lavori. Ci siamo cosí voluti liberare d'un colpo del curricolo editoriale per non tornarci poi piú sopra, assegnando alla Penombra, non senza ragioni, un ufficio di discrimine
La consapevolezza drammatica di voler raccontare il proprio « mondo » (non nel senso, larghissimo, che ogni scrittore racconta sempre il proprio mondo) in Lalla Romano è certamente anteriore, ma, fino alla Penombra, anche se riconoscibile e subito connotabile con precisione, ha come fatto delle prove, come saggiato delle varianti. Cosi è stato, nel modo forse piú evidente, con L'uomo che parlava solo. (Il « parlare da sola » sarà curiosamente annotato ne La Penombra come un tratto della Romano bambina: « Io "parlavo da sola", e la mamma mi lasciava fare, non mi interrompeva », p. 21). L'uomo che parlava solo è il romanzo piú « obiettivo » di Lalla Romano, anche se poi la storia narrata in prima persona e lo stile cosí netto (ma un'ombra di inautentico vi si[...]
[...] alla Penombra, anche se riconoscibile e subito connotabile con precisione, ha come fatto delle prove, come saggiato delle varianti. Cosi è stato, nel modo forse piú evidente, con L'uomo che parlava solo. (Il « parlare da sola » sarà curiosamente annotato ne La Penombra come un tratto della Romano bambina: « Io "parlavo da sola", e la mamma mi lasciava fare, non mi interrompeva », p. 21). L'uomo che parlava solo è il romanzo piú « obiettivo » di Lalla Romano, anche se poi la storia narrata in prima persona e lo stile cosí netto (ma un'ombra di inautentico vi si annida a tratti nel ritmo, specie dei dialoghi, che sente di Pavese) rendono l'opera facilmente apparentabile alle altre.
Cosí ci pare che sia di Tetto murato. Ma Tetto murato conta di piú soprattutto per il segno lievitato delle figure, incardinate in un'atmosfera ferma, chiusa, perfetta e insieme misteriosa, fiabesca, quasi magica, un'enclave nel clima della guerra che sta come un sogno vagamente shakespeariano (« come quando si sogna e si sa di sognare » 3), una « metamorfosi » continu[...]
[...]cchi il balconcino alto sul Borgo Sottano, dal quale Maria aveva salutato il bambino diventato grande che ripartiva sulla sua motocicletta.
Prima di scendere, per la gradinata di pietra, al vicolo di Maria, volli rivedere il paese.
Rividi, nell'attraversarlo, la villa dei Maina, che dietro l'alterigia della f acdata celava le sue storie oscure, e le fastose alcove, che Maria spolverava con tanta fatica.
4 La villeggiante, Torino 1975, p. 95.
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Percorsi i piccoli portici, uscii nella piazza, e m'indugiai nel leggere le piccole lapidi bianche, murate in memoria dei fucilati dell'ultima guerra. Cercai il nome di Milio; ecco: Emilio Martini, di anni ... Una bicicletta attraversò la piazza deserta, metà sole e metà ombra. Margherita? (avevo pensato a lei, cercando il nome di Milio?).
Poteva essere lei, la donna della bicicletta: la testa piccola, dal profilo minuto e severo. Anche lei mi guardò (p. 136).
È soltanto il primo « respiro » del capitolo, ma ci troviamo già un poco nel clima della Penombra. Cosí in Tetto murato ci socc[...]
[...]la strada davanti all'albergo, e ho sentito l'aria. L'aria mi può bastare. È la mia aria.
In nessun'altra valle vicina o lontana c'è quell'aria. Io la riconosco all'odore leggero che sa di latte, di strame, di erbe amare. Ma non è un odore, se non dopo.
Non è mai esaurito il mio bisogno di quell'aria. Io la penso di lontano, e mi nutre. Mi tormenta, anche: per qualcosa di irraggiungibile, ma anche di
5 Il libro del Daniel è stato recensito da Lalla Romano in « Tuttolibri », vi, n. 24, 28 giugno 1980, p. 15.
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fatale. Essa è per me il passato: tutto quello che è avvenuto. Per me è anche « loro ».
In loro sono compresa io. La conoscenza di loro e di me, come non era veramente distinta allora, tanto meno lo è adesso (p. 18).
E un'immersione della memoria nelle persone e nelle cose, una simpatia radicale. Non c'è tristezza (e nemmeno nostalgia) nella Penombra, ma un memorare dolce e controllato: casomai malinconico. Ma felicità e malinconia hanno un forte senso della convivenza ed è da ricordare in proposito un episodio delle [...]
[...] l'exprimer » Il problema dello stile, di cui non v'è luogo a soffermarci, è tutto qui.
6 In Diario di Grecia, cit., p. 49. Su Peano si veda la testimonianza che la scrittrice ha pubblicato in « Spirali », Iii, giugno 1980, n. 6, pp. 56, intitolata Lo spirito creativo è leggero. Si veda poi naturalmente Una giovinezza inventata.
7 Cit. da F. FLORA, Il decadentismo, in Questioni e correnti di storia letteraria, Milano, Marzorati, 1965, p. 781.
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La memoria dunque non è idillio, non rifugio, non nasconde le ferite e non gioca a rimpiattino. Il rapporto con le cose della Romano è sempre schietto e sa correre i suoi rischi. Lo stesso ritratto frammentario che la scrittrice fa di sé nelle sue pagine è spietato, privo di indulgenza, certo costruito, cioè artisticamente rivissuto. Lalla Romano è un personaggio che vive con gli altri personaggi e ne condivide il destino, ne ricerca le dissonanze, ne suggerisce, o ne dice, le affinità. Borlenghi molto acutamente, a proposito della presenza della scrittrice nella Penombra, ha parlato di « una propria storia in minore, nel cerchio delle memorie ».
C'è sempre una dialettica intensa — un dramma — in questo rapporto tra personaggio e personaggi (il punto estremo sono Le parole tra noi leggère), spesso doloroso fino allo spasimo perché la memoria (autentica) non vuole patire inganni. In questo senso, l'opera della Romano è memoriale e non[...]
[...]« c'era la Grande Guerra », p. 23), e la loro parzialità era un fatto poetico. Cosi in Maria la storia era un evento tra gli eventi e interessava per i suoi tratti di tragedia improvvisa e fatale. In Una giovinezza inventata la questione raggiunge l'apertura massima. Una giovinezza inventata è la storia della formazione di una ragazza borghese e provinciale che prende la strada della città. È anche la storia stessa della scrittrice, come sempre. Lalla Romano è nata a Demonte ed ha vissuto infanzia e adolescenza tra il paese che l'ha cresciuta e la cittadina di provincia (« Cuneo città "d'antan" », p. 133) dove ha compiuto gli studi ginnasiali e liceali. Il suo approdo torinese coincide con gli anni dell'Università, con gli umori, le inquietudini, le contraddizioni di una vitalità ispida e inappagata.
È la storia di una iniziazione, dei rituali e delle sofferenze che tale iniziazione comporta; la storia di un personaggio di angoscia (e di allegria?) dentro la « grande misteriosa città » (p. 73) autunnale, che sta come una favola dal fascino inten[...]
[...], tra affabulazioni epistolari e incontri divisi, fatti un po' di audacia e un po' di perplessità, tra presunzioni intellettuali e pene d'incompiuto amore. Eccone un esempio estremo:
Quest'anno, che lui era piú gentile — e io definitivamente delusa — scelsi un altro simbolo. In una vetrina vidi un piccolo libro su Dürer, con la stampa
9 Da un'intervista rilasciata a chi scrive e apparsa su « Nuovasocietà », vni, n. 171, 31 maggio 1980, p. 47.
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della Malinconia sulla copertina. Mi riconobbi in quella figura. Io ero magra, sottile (« quand'ero paggio... »); ma in me qualcosa era pesante: la mia sensualità inappagata, il mio pensiero oscuro. Quella donna — non mi avvidi subito che ero un angelo — delusa, corrucciata, attorniata da simboli spezzati, da un Eros esiliato, ero ben io. Lo avrebbe capito? Ritagliai l'immagine, e gliela mandai, con gli auguri. Lui mi mandò — ma non in risposta, contemporaneamente — un bigliettino: anche lui col suo ritratto.
« Cara Lalla,
tanti auguri: di che cosa, pensaci tu. Auguri proprio di cuore,[...]
[...]uguri: di che cosa, pensaci tu. Auguri proprio di cuore, perché dopo, tutto quel bene che te ne verrà farà piacere anche a me. Quando vieni?
Care cose affettuosissime dal tuo egoista malvagio bugiardo fedifrago sornione e violino senza canto
Peer
Fin d'anno '29 » (pp. 229230).
Il personaggio che si firma Peer e che reca nel romanzo il nome di Altoviti fa pensare a quel che John Middleton Murry (Katherine Mansfield è di certo nelle letture di Lalla Romano 10) diceva di se stesso: « in parte snob, in parte vigliacco, in parte sentimentale ».
La malinconia severa che si respira nel racconto è distacco dall'età che viene attraversata, angosciosa e conflittuale. I personaggi che si incontrano sono veri e proprii personaggi storici e la giovane Lalla si mescola alla pari, si offre alla rappresentazione senza reticenze, con un anticonformismo che è anche esibizione perché cosí vuole l'età. Il progetto ventilato in un'intervista, rilasciata al quotidiano « La Repubblica » (1 agosto 1976), di scrivere Una giovinezza « come se fosse la vicenda di un'a[...]
[...]stenze, chiude in una sorta di sinfonia breve (la musica della Romano è una musa assai sentita) il valore fulmineo del dono. Qui la poetica di quel « realismo allusivo » — e quanto tornerebbe il « figurale »! —, che proponevamo come formula sintetica all'inizio di questo ritratto, trova cospicue pezze d'appoggio. Ma la Romano, che pure non è scrittrice amante di cla
11 Da un'intervista apparsa su « La Gazzetta del Popolo » il 15 dicembre 1979.
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mori sperimentali (la discrezione, s'è detto, e s'intende discrezione stilistica, è la sua misura) non si è mai nemmeno rinchiusa in una ricetta. E accaduto in Una giovinezza inventata, dove il valore del documento assume un posto cospicuo e svolge una importante funzione narrativa. Ma su questa strada, che arriva a Una giovinezza inventata, non può non essere considerata decisiva la tappa del romanzo Le parole tra noi leggère. Qui infatti il dramma di un rapporto assume le sue tinte piú forti, e il modo di rappresentarlo una spregiudicatezza inventiva mai sperimentata prima.
Le parole [...]
[...]no e riprende il discorso — il romanzo è anche un saggio, e un viaggio —, lo aggiorna, se si vuole, in corrispondenza con i diversi stadi evolutivi.
Il libro si può leggere come il dramma delle affinità non appagate, delle attese frustrate, di una vocazione elusa insomma — quella dell'arte —, come grande frammento di un discorso amoroso e insieme costruttivamente (morfologicamente) come esempio di romanzo nuovo. Nuovo nella storia dell'opera di Lalla Romano e nuovo nel panorama della nostra letteratura.
Il suo cuore, come sempre, è nell'attacco:
Io gli giro intorno: con circospezione, con impazienza, con rabbia. Adesso, gli giro intorno; un tempo invece lo assalivo. Ma anche adesso ogni
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tanto — raramente — sbotto. Allora lui mi guarda con la sua famosa calma e dice: — Tu mi manchi di rispetto! La mia collera di ora dev'essere un residuo delle antiche battaglie, quando io reagivo come se lui fosse una parte di me che tradiva se stessa e dunque mi tradiva. Ai miei assalti e assedi ormai piú che altro ammirativi, lui oppone f[...]
[...]o ammirativi, lui oppone freddezza, noia e perfino gentilezza (distratta).
Ma soprattutto io non rinunzio a tentare di conoscerlo, discorsivamente voglio dire. So bene che le domande sono un sistema sbagliato; ma ci ricasco. Lui è seduto davanti a me, immerso in un libro (magari un fumetto). Io provo a incominciare un discorso, e per di piú su temi generali. Senza alzare il capo risponde: — Non so (p. 9).
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BIBLIOGRAFIA
OPERE DI LALLA ROMANO. Poesia: Fiore, Torino, Frassinelli, 1941; L'autunno, Milano, Edizioni della Meridiana, 1955; Giovane è il tempo, Torino, Einaudi, 1974. Poesie di Lalla Romano sono apparse in Prima antologia di poeti nuovi, Milano, Edizioni della Meridiana, s.d. [ma 1950]
Prosa: Le metamorfosi, Torino, Einaudi, 1951 (poi, riveduta e ampliata, nei « Coralli », 1967); Maria, ivi, 1953 (poi nei « Coralli », 1965; nelle « Letture per la scuola media », 1973; nei « Nuovi Coralli », 1975); Tetto murato, ivi, 1957 (poi nei « Supercoralli », 1972); Diario di Grecia, Padova, Rebellato, 1959 (poi, con qualche variante, presso Einaudi, nei « Nuovi Coralli », 1974); L'uomo che parlava solo, Torino, Einaudi, 1961; La penombra che abbiamo attraversato, Torino, Einaudi, 1964 (po[...]
[...]oi nelle « Letture per la scuola media », 1978); Lettura di un'immagine, ivi, 1975; La villeggiante, ivi, 1975; Pralève, ivi, 1978 (ma già compreso ne La villeggiante); Una giovinezza inventata, ivi, 1979.
Traduzioni: G. Flaubert, Tre racconti, Torino, Einaudi, 1944 (e ora, con Nota introduttiva, nelle « Centopagine », 1980); E. Delacroix, Diario (18221863), Torino, Chiantore, 1945; B. Beck, Léon Morin, prete, Torino, Einaudi, 1954.
SCRITTI SU LALLA ROMANO. A parte i repertori e le storie letterarie del Novecento, che dedicano qualche spazio alla scrittrice, sono pochi su di lei i saggi sistematici. Ricordiamo il profilo di F. VINCENTI contenuto ne « I contemporanei » di Marzorati (v vol., 1974), e perciò fermo a L'ospite. Della stessa Vincenti è da ricordare il profilo piú ampio Lalla Romano apparso nella collana « Il castoro » (Firenze, La Nuova Italia, 1974). Aggiornato fino a Una giovinezza inventata è l'Invito alla lettura di Lalla Romano di A. CATALUCCI (Milano, Mursia, 1980).
Moltissime le recensioni, che indichiamo con qualche ampiezza: F. Neri, « La Stampa », 18 giugno 1941; A. Rossi, « La Gazzetta del Popolo », 20 giugno 1941; E. Battistini, « Il popolo di Roma », 9 giugno 1951; V. Sereni, « MilanoSera », 1112 giugno 1951; C. Bo, « La Fiera Letteraria », 15 luglio 1951; Cam. [Aldo Camerino], « Il Gazzettino », 17 agosto 1951; A. Sartori, « La Rassegna », 11 dicembre 1951; P. Chiara, « L'Adige », 26 giugno 1953; E. Montale, « Corriere della Sera », 28 agosto 1953; C. Bo, « La Fiera Letteraria », 20 settembre 1953; A. Gros[...]
[...]« Corriere della Sera », 28 agosto 1953; C. Bo, « La Fiera Letteraria », 20 settembre 1953; A. Grosso, « Il Popolo Nuovo », 28 ottobre 1953; A. Sartori, « La Rassegna », settembreottobre 1953; C. M. Richelmy, « Orizzonti », 13 dicembre 1953; D. Persiani, « Lo spettatore italiano », dicembre 1953; G. Contini, « Letteratura », XII, 1953; F. Sanvitale, « Giornale del Mattino », 27 gennaio 1954; G. De Robertis, « Il Nuovo Corriere », 18 marzo
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1954; L. Baldacci, « Il Giornale del Mattino », 11 gennaio 1958; G. Bartolucci, « Avanti! », 11 gennaio 1958; G. Manacorda, « Il Contemporaneo », 11 gennaio 1958; P. Milano, « L'Espresso », 12 gennaio 1958; A. Paoluzi, « Sicilia del Popolo », 24 gennaio 1958; E. Croce, « Il Punto », 1 febbraio 1958; G. Gramigna, « Settimo Giorno », 13 febbraio 1958; G. Vigorelli, « Rotosei », 21 febbraio 1958; G. C. Ferretti, « L'Unità », 24 febbraio 1958; G. De Robertis, « Tempo », 27 febbraio 1958; G. Pullini, « Comunità », III, 1958; A. Paolini, « Situazione », marzo 1958;
E. Montale, « Corriere dell[...]